Perché la nostra generazione è infelice
07/01/2014

L’articolo che qui riporto, tradotto in italiano dal blogger che cura “concettodelsolk” , è un’interessante, quanto in realtà superficiale, analisi della generazione di giovani americani definiti GYPSY.
Non è così semplice definire cosa sia la felicità e cosa generi il suo opposto. E’ invece semplicistico presentare l’approccio positivo ad una crisi mondiale che ha tolto speranze, opportunità e prospettive con un banale “lavorate di più, aspettatevi di meno“.

Detto ciò è curioso notare come vi siano naturali differenze di approccio a certe tematiche, soprattutto lavorative, tra americani ed europei e, nello specifico, di noi italiani.

“E siccome il mondo reale (con le dovute eccezioni) considera anzitutto il merito”.
Qui ci può scappare una sonora risata… in Italia il concetto di merito è scomparso da decenni, sostituito prima dal servilismo, poi dal clientelismo.

“La maggiorparte delle persone presenta una inflazionata versione della propria esistenza.”
Questo vale probabilmente per gli americani medi: qui abbiamo professionisti del vittimismo e della lamentela.
Potrebbe andare tutto bene, ma è meglio non farlo notare. Meglio far sempre credere agli altri che i nostri problemi sono reali e più grossi dei loro. Meglio ricevere commiserazione e “poverino” che ammettere che su certi aspetti tutto sommato non potremmo lamentarci per niente. Ma per capire questo bisogna essere italiani.

Ora vi lascio all’articolo:

Perchè la nostra generazione è infelice

Questo articolo del blog waitbutwhy.com non è scritto da me. Io l’ho solamente tradotto.
Mi sembrava interessante renderlo disponibile ad un pubblico di lettori non anglofoni.

 

 

Dì ciao a Lucy.

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Lucy fa parte della Generazione Y, la generazione nata nel periodo compreso tra il fine anni ’70 e la metà degli anni ’90. Fa anche parte della cultura yuppie che costituisce una larga parte della Generazione Y (Gen Y).

(nota del traduttore: Per approfondire, leggi a proposito degli yuppie qui)

Mi piace descrivere gli yuppie della Gen Y con un acronimo — Li chiamo “Gen Y protagonists & special Yuppies”, o GYPSY. Un GYPSY è un sottotipo di yuppie, che pensa di essere il protagonista di una storia molto speciale.

Dunque, Lucy sta vivendo la sua vita GYPSY ed è molto rincuorata per il fatto di essere Lucy. L’unico problema al riguardo è il seguente:

Lucy è infelice.

Per comprendere il perchè di ciò, dobbiamo inanzitutto definire e comprendere cosa renda felice o infelice un individuo. Deriva tutto da una semplice formula.

2013-09-15-Geny2.jpg[FELICITÀ= REALTÀ – ASPETTATIVE]

E’ tutto piuttosto lineare — quando la realtà della vita di un individuo supera le sue aspettative, egli è felice. Quando al contrario risulta inferiore alle aspettative, egli è infelice.

Per ritornare al contesto di cui accennavo, introduciamo nel discorso i genitori di Lucy:

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I genitori di Lucy sono nati negli anni 50. Loro sono i cosiddetti “baby boomer” (n.d.t.: per approfondire qui). Furono cresciuti dai nonni di Lucy, membri della “Grande Generazione”, che è cresciuta durante la Grande Depressione è che ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto non sono assolutamente da definire GYPSY.

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[femminuccie]

I nonni di Lucy erano ossessionati dalla sicurezza economica e accudirono i loro figli insegnando loro i valori della sicurezza nel lavoro, della praticità. Volevano che i propri figli facessero crescere un prato molto più verde e rigoglioso di quello che avevano coltivato loro. Dunque i genitori di Lucy sono cresciuti con la prospettiva di ricercare una prospera e stabile carriera. Qualcosa di simile a questo:

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Gli fu insegnato che niente e nulla poteva fermare il loro progredire professionale, ma al tempo stesso appresero che servivano anni di duro lavoro affinchè il prato rigoglioso potesse essere realizzato.

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[Grafico raffigurante la soddisfazione lavorativa dei baby boomers in funzione degli anni]

Dopo aver vissuto il periodo hippie (che è diverso da Yuppie), i genitori di Lucy intrapresero le loro carriere. Nel periodo a cavallo tra ’70, ’80 e ’90, il mondo ha vissuto una prosperità economica mai vista prima. I genitori di Lucy fecero anche meglio di quanto si aspettavano. Questo li rese gratificati ed ottimisti.

Ciò determinò nei GYPSY una enorme fiducia e speranza per il futuro, al punto che gli obiettivi raggiunti dai genitori riguardo sicurezza economica e prosperità sembravano oltremodo obsoleti. Un prato rigoglioso, per i GYPSY, doveva avere anche i fiori.

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Questo aspetto ci svela un primo ed importante aspetto dei GYPSY:

I GYPSY sono selvaggiamente ambiziosi.

 

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[Penso che potrei diventare Presidente, ma è davvero la politica la mia vera vocazione? No… sarebbe una soluzione troppo definitiva]

I GYPSY hanno bisogno di molto più che un bel giardino di sicurezza e prosperità. Il fatto è che un prato verde e rigoglioso non è adeguatamente eccezionale o sufficientemente unico per un GYPSY. Mentre per i Baby Boomer esisteva il Sogno Americano, i GYPSY desiderano vivere il loro sogno personale.

Cal Newport, in un suo articolo, fa notare che il trending di popolarità della frase “follow your passion” (segui le tue passioni) è aumentato negli ultimi 20 anni, come potete vedere da questo grafico su Google Ngram viewer, uno strumento che mostra quanto sia presente una certa frase nei testi scritti in un ben delineatoperiodo di tempo.
Lo stesso Ngram viewer mostra che la frase  ”a secure career” (una carriera sicura) è andata fuori moda, mentre la frase “a fullfilling career” (una carriera stimolante) è divenuta molto popolare.

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Giusto per esser chiari, i GYPSY vogliono la prosperità economica esattamente come l’hanno voluta i loro genitori — semplicemente essi vogliono anche essere soddisfatti dalla propria carriera in un modo che i loro genitori non hanno neanche preso in considerazione.

Ma accade anche qualcos’altro. Mentre le ambizioni e gli obiettivi di carriera della Gen Y sono diventati sempre più alti ed esigenti, Lucy ha ricevuto anche un secondo messaggio, durante la sua infanzia:

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[tu sei speciale]

Questo suggerisce un secondo aspetto dei GYPSY:

I GYPSY vivono di illusioni.

Lucy si è convinta che “sicuramente tutti vorranno ottenere un futuro soddisfacente, ma io sono particolarmente brillante e, di fatto, la mia vita e la mia carriera saranno ancor più luminose di quelle degli altri”.
Cosi, in un mondo dove tutti sognano il prato rigoglioso coi fiori,ogni singolo GYPSY pensa di essere destinato a qualcosa di ancora più grande –

Un unicorno scintillante al di sopra del prato fiorito.

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[confronto tra aspettative di carriera di Lucy con quella degli altri]

 

Ma perchè si definisce illusione? Perchè questo è quello che tutti i GYPSY pensano, il chè contraddice la definizione stessa di speciale:

spe-cia-le | ‘spe’ʧale |
aggettivo
Relativo ad una specie. Singolare, diverso.

 

Considerata questa definizione, che sul piano emotivo per i GYPSY ha valore di “migliore”, il resto della gente non è da considerarsi speciale — altrimenti “speciale” non vorrebbe dire nulla.

Anche adesso, i lettori GYPSY stanno pensando, “Interessante… ma in realtà io faccio realmente parte di questi pochi speciali” — è qui sta il problema.

Una seconda illusione entra in gioco una volta che i GYPSY entrano nel mercato del lavoro. Mentre i genitori di Lucy erano convinti che tanti anni di duro lavoro e sacrifici avrebbero determinato un successo professionale, Lucy considera il successo di carriera come un fatto dovuto, dato che si tratta di una persona eccezionalmente particolare come lei. Per lei è solo una questione di tempo e di scegliere quale direzione prendere. Le sue aspettative pre-lavorative dunque somigliano ad una cosa del genere:

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[“Aspettiamo che il mondo veda quanto meravigliosa io sia”]

Sfortunatamente, la cosa buffa riguardo la realtà è che essa si rivela essere non cosi semplice. Il fatto strano riguardo la carriera lavorativa è che si rivela essera decisamente difficile e complicata.Grandi successi hanno bisogno di anni di sangue, sudore e lacrime per essere raggiunti — inclusi quelli che non prevedono fiori e unicorni — ed anche le persone di maggior successo difficilmente stanno combinando/hanno combinato qualcosa di grande nel periodo dei loro primi 20-30 anni di vita.

Ma i GYPSY semplicemente non accettano questo fatto.

Paul Harvey, un professore della University of New Hampshire ed esperto dei GYPSY, nel corso di una sua ricerca, e ha affermato che la Gen Y ha “irrealistiche aspettative e si mostrano restii ad accettare dei feedback negativi al riguardo,” e “una inflazionata visione di se stessi.” Harvey dice che “le aspettative non corrisposte, in persone con forte autostima ed autoreferenzialità, sono una grande fonte di frustrazione. Essi fanno riferimento a dei livelli di rispetto e considerazione che non sono in linea con le loro effettive abilità e sacrifici, dunque è probabile che non raggiungano quei premi e riguardi che si aspettano.”

A quelli che assumono nelle proprie aziende dei membri della Gen Y, Harvey suggerisce di fare una domanda durante il colloquio, “Ti senti in genere superiore ai tuoi colleghi/compagni di corso/etc.., e se sì, come mai?” Egli dice che “se il candidato risponde di sì alla prima parte ma rimane interdetto sul ‘perchè’, possibilmente c’è un tendenza all’autoreferenzialità. Questo è dovuto al fatto che le percezioni autoreferenziali sono di solito basate su un senso di superiorità e di merito infondato. Gli han lasciato credere, attraverso esercizi di costruzione di autostima eccessivi durante l’adolescenza, di essere in qualche modo speciali ma allo stesso tempo senza includere una giusta motivazione a questa credenza.”

E siccome il mondo reale (con le dovute eccezioni) considera anzitutto il merito, durante gli anni di college Lucy si trova a vivere questa situazione:

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[Le aspettative di Lucy non corrispondono alla realtà]

L’estrema ambizione di Lucy, accompagnata da un’arroganza che deriva dalle illusioni provocate dall’eccessiva autoreferenzialità, l’ha costretta a vivere il periodo degli studi con una enorme aspettativa. E la realtà, messa a paragone con le sue aspettative, fa risultare l’equazione [felicità= realtà – aspettative] con un valore negativo.

E va sempre peggio. Oltre a questo, i GYPSY hanno un altro problema che si applica a tutto il resto della generazione Y:

I GYPSY si sentono presi in giro e ridicolizzati.

Sicuramente, alcuni coetanei dei genitori di Lucy hanno avuto più successo di quanto essi abbiano avuto. Anche se nel corso degli anni in famiglia di Lucy si parlava della vita di altre persone, per la maggior parte dei casi loro non sapevano realmente che cosa ne fosse stato di tante e tante persone con le loro rispettive carriere.

Lucy, al contrario, si trova costantemente ridicolizzata e rinfacciata da un fenomeno contemporaneo: Facebook Image Crafting (Le vite degli altri raccontate su facebook).

I social network creano un mondo per Lucy dove:

A) Qualsiasi cosa stiano facendo gli altri la fanno alla luce del giorno.
B) la maggiorparte delle persone presenta una inflazionata versione della propria esistenza.
C) Le persone che sottolineano aspetti della loro vita e del loro lavoro sono di fatto quelli a cui il lavoro (o le relazioni) sta procedendo alla grande.

Tutto ciò lascia supporre a Lucy, erroneamente, che tutti quanti stiano facendo grandi progressi, lasciando a lei ulteriore commiserazione:

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[il giardino dei vicini è più alto e più verde]

Ecco il motivo per cui Lucy è infelice, o al limite, un pò frustrata e inadeguata. Infatti, probabilmente la sua carriera può anche essere partita bene, ma su di lei è comunque calato un senso di delusione ed amarezza.

Alcuni consigli per Lucy:

1) Rimani selvaggiamente ambiziosa. Il mondo contemporaneo è pieno di opportunità per cogliere fiori e soddisfazioni. La direzione da prendere può non sempre essere chiara, ma si andrà delineando col tempo — l’importante è buttarsi a capofitto su qualcosa.

2) Basta col pensare di essere speciali. Perchè, di fatto, non sei speciale. Tu sei come tutte le altre giovani persone senza esperienza che non hanno molto da offrire. Potrai diventare davvero speciale quando lavorerai duramente per tanto tempo.

3) Ignora tutti gli altri. Il giardino dei vicini che sembra sempre più verde, è roba vecchia. Eppure nel mondo virtuale cui siamo abituati, il giardino dei vicini sembra un parco glorioso ed immenso. La verità è che tutti gli altri sono indecisi, dubbiosi e frustrati quanto te. Se tu porti a termine i tuoi obiettivi, non avrai altre ragioni per invidiare gli altri.

 

fonte: http://www.waitbutwhy.com/2013/09/why-generation-y-yuppies-are-unhappy.html

Usagi Drop
21/10/2011

Usagi Drop

Usagi Drop è il classico slice of life relativo ad un trentenne che si ritrova a far da tutore alla figlia del nonno. Abituato ad una vita da single e da senza-prole, vale a dire una vita incentrata sul lavoro e sulle bevute, Daikichi si ritrova improvvisamente a dover fronteggiare la vita genitoriale, per di più con una bambina di già 6 anni.

Il tema del cambiamento e della scoperta di una nuova dimensione di vita sarà quindi motore di una crescita psicologica del protagonista e di una autoconsapevolezza che renderà Daikichi davvero un uomo relaizzato.

Le tematiche trattate, pur essendo pesanti (la morte e l’abbandono soprattutto) vengono lette e raccontate con la doppia lente del mondo adulto di Daikichi e quello infantile di Rin. Un intreccio azzeccato che porta lo spettatore ad essere partecipe in maniera realistica e credibile ad una “fetta di vita” di questa coppia nata quasi per caso.

Qui trovate gli episodi in streaming ITA:
http://www.itastreaming.info/serie/Usagi-Drop/

Daikichi e rin

 

Di seguito la opening:

Individualismo o Egoismo?
09/08/2011

egoismo

“L’egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi.”
[Oscar Wilde, Il critico come artista]

Individualismo ed Egoismo son due termini ben diversi.

L’individualismo coinvolge maggiormente un’ideologia, una prospettiva sociale, una filosofia che rimarca “il valore dell’individuo“. Promuove il raggiungimento di alcuni obiettivi quali l’indipendenza e l’autonomia e pone resistenza verso ogni cosa che minacci l’interesse personale, per una società o gruppo.

L’individualista è un essere umano che ha una smisurata fiducia in sè stesso; l’individualista SI AMA; è per questo che tende a voler essere indipendente dagli altri, sebbene non rivolga ad essi alcun odio particolare, e non li inganni per nulla; è per questo che impara ad apprezzare anche la solitudine, nel momento in cui potrebbe solo recar danno a terzi; è per questo che vuole coltivare i propri interessi sino a percepirli come un mezzo per la realizzazione di sè; è per questo che focalizza sulle proprie qualità, tendendo ad elevarle all’ennesima potenza, sino a concretizzare una sorta di culto di sè stesso.

L’individualista, dunque, si soddisfa e si valorizza, perchè si ama.

La radice del termine egoismo, invece, è la parola latina “ego” ovvero “io“.
L’egoista attua tutta una serie di comportamenti atti unicamente al conseguimento dell’interesse del “IO” , che, pur di primeggiare,  è disposto a danneggiare e  limitare, gli interessi del prossimo. Questo, ovviamente, nella sua forma più estrema.

l’egoista è un essere umano che non ha per nulla stima di sè; l’egoista SI ODIA; e se odia sè stesso, automaticamente odia anche il prossimo; è per questo che tutti i suoi comportamenti, illogici e materialisti, sono solo apparentemente finalizzati al conseguimento del proprio piacere personale; in realtà, giacché la accezione del proprio “piacere personale” è qualcosa di instabile e impreciso, cambia continuamente: pertanto, l’egoista non potrà mai raggiungere la vera felicità, perchè tutto ciò che è mutevole, provoca senso di perdita, di dolore, di smarrimento e incostanza; l’egoista, cosa più tragica, non sa neanche di essere un egoista… è un misero solitario confuso, un cieco danneggiatore dell’altro (e di sè stesso).

L’egoista, dunque, si soddisfa, ma non si valorizza, perchè si odia.

In sintesi

L’Individualismo pone al centro l’individuo e considera l’individuo umano d’importanza primaria per l’indipendenza. Un’egoista, invece, tendenzialmente, non è “libero”.

In entrambi, ovviamente, vi è la concentrazione sul proprio io, al quale si offre non poca importanza, tendendo a soddisfarlo pienamente. Ma sono il modo e i fini con cui compiono ciò che li trasformano in due esseri opposti.

In conclusione, individualismo ed egoismo sono quanto di più diverso possa esistere: l’individualista è come un eterno dio; l’egoista come un eterno schiavo.

Rainbow – Nisha rokubou no shichinin
16/06/2011

RAINBOW Nisha Rokubou no Shichinin - OP

Rainbow: Nisha Rokubō no Shichinin è un anime prodotto dalla Madhouse, diretto da Hiroshi Koujina e ispirato all’omonimo manga seinen scritto da George Abe e illustrato da Masasumi Kakizaki.

RAINBOW Nisha Rokubou no Shichinin

È un’opera cruda che va vissuta, come metafora delle difficoltà della vita, piena di messaggi che l’azzeccata regia riesce a infondere perfettamente nell’anima: valori come l’amicizia, la determinazione, il coraggio, la solidarietà di cui con fatica i personaggi si fanno portatori ispirati.

L’opera narra delle vicissitudini di un gruppo di ragazzi che finisce in un riformatorio minorile nel dopo guerra giapponese. Un’affresco purtroppo non sviluppato come avrebbe meritato ma che fa da palco all’approfondimento caratteriale dei personaggi, alla loro evoluzione. La ricerca della felicità come diritto umano a cui anelare, questo è il vero motore di questo anime. Ricerca che passa attraverso il caparbio raggiungimento degli obbiettivi che ciascuno dei protagonisti si prefissa nella vita. Al costo di sopportare qualsiasi dolore, qualsiasi privazione, qualunque prevaricazione.

26 Episodi dove nulla è scontato. Dove in parecchi frangenti non sono i buoni sentimenti a vincere e dove i malvagi e gli approfittatori possono avere la meglio, come nella vita vera. I personaggi imparano a suon di insuccessi che non tutto va sempre come desideri. Ma con fatica, aiutandosi l’un l’altro, cercano di conquistare un centimetro alla volta il diritto alla loro felicità.

Rainbow

Per vedere l’anime in streaming clicca qui.

FIL – Felicità Interna Lorda
13/03/2011

« Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un folle, oppure un economista. » [Kenneth Boulding]

La felicità interna lorda o FIL (in lingua inglese gross national happiness – GNH) è il tentativo di definire – con un evidente ammiccamento ironico, ma con altrettanto evidenti intenti sociologici – uno standard di vita sulla falsariga del prodotto interno lordo (PIL).

“Cos’è la felicità?”

Negli Stati Uniti e in molti Paesi industrializzati viene identificata spesso con il denaro.Gli economisti misurano la fiducia dei consumatori sul presupposto che il risultato in numeri riveli qualcosa in termini di progresso e benessere pubblico. Il prodotto interno lordo, o PIL, viene normalmente utilizzato come espressione sinottica del benessere di una nazione.

Ma il piccolo regno del Buthan alle pendici dell’Himalaya la pensava diversamente.

Nel 1972, alla luce delle problematiche che interessavano gli altri paesi in via di sviluppo guidati esclusivamente da parametri quali la crescita economica, il neo reggente del Buthan King Jigme Singye Wangchuck, decide di considerare prioritaria nel suo Paese la FIL, cioè la Felicità Interna Lorda, invece del PIL.

Il Dalai Lama è un convinto sostenitore della FIL. A questo proposito ha dichiarato:
«Come buddhista, sono convinto che il fine della nostra vita è quello di superare la sofferenza e di raggiungere la felicità. Per felicità però non intendo solamente il piacere effimero che deriva esclusivamente dai piaceri materiali. Penso ad una felicità duratura che si raggiunge da una completa trasformazione della mente e che può essere ottenuta coltivando la compassione, la pazienza e la saggezza. Allo stesso tempo, a livello nazionale e mondiale abbiamo bisogno di un sistema economico che ci aiuti a perseguire la vera felicità. Il fine dello sviluppo economico dovrebbe essere quello di facilitare e di non ostacolare il raggiungimento della felicità».

Considerare il FIL anzichè il PIL significa solo ammettere l’esistenza di valori superiori a quello del benessere economico. Cosa che, oggi, non è affatto scontata. Che poi non sia realmente possibile o sia difficilissimo quantificare la felicità è tutt’altra cosa. Ma ammettere che correre dietro il PIL per ottenerla è una strada sbagliata è già qualcosa. La ricchezza è una parte del benessere non tutto il benessere.

Come ci ricordano le illuminate parole di Robert Kennedy:

« Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones né i successi del Paese sulla base del Prodotto Interno Lordo. Il PIL comprende l’inquinamento dell’aria, la pubblicità delle sigarette, le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine del fine settimana… Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione e della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia e la solidità dei valori familiari. Non tiene conto della giustizia dei nostri tribunali, né dell’equità dei rapporti fra noi. Non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio né la nostra saggezza né la nostra conoscenza né la nostra compassione. Misura tutto, eccetto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. »

( Robert Kennedy – Dal discorso tenuto il 18 marzo 1968 alla Kansas University)

 

FONTI
http://www.facebook.com/pages/Felicit%C3%A0-interna-lorda/108147962546818?sk=info
http://www.bhutan2008.bt/en/node/317
http://it.wikipedia.org/wiki/Felicit%C3%A0_interna_lorda
http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Kennedy

 

Una Tomba per le Lucciole (Hotaru no haka)
26/05/2010

Un film crudo. Un pugno nello stomaco. Un piccolo capolavoro. Non per bambini.
L’orrore della guerra e la forza della disperazione contro la fame, la solitudine, l’indifferenza.

Triste e splendido nel saper esprimere dolore e dolcezza.
Il tocco delicato del maestro Isao Takahata, il co-fondatore meno noto di Hayao Miyazaki dello Studio Ghibli, si fa sentire in quest’opera del 1988 tratta dall’omonimo romanzo semi-autobiografico di Akiyuki Nosaka.

Non viene dato scampo allo spettatore, non vi è speranza. Il finale viene presentato subito e tutto il film risulta essere un flashback che porta inevitabilmente alla consapevolezza di un assoluta assenza di lieto fine.  Il giappone della Seconda Guerra mondiale rivive così, attraverso gli occhi dei due giovani protagonisti, rimasti orfani.

Le lucciole sono metaforicamente l’unica luce gioiosa nella notte senza fine di un esistenza straziata.
Perchè le lucciole muoiono così presto?” chiede la piccola Setsuko al fratello Seita.
Perché sono così brevi anche se intensi i momenti di felicità?

Abbiamo tutto, ma non abbiamo più nulla
07/01/2010

Il lavoro ha, sempre più spesso, come unico obiettivo uno stipendio.
Non è importante che il lavoro sia utile, necessario per la società o per l’individuo che lo svolge.
Lo scopo di un’attività è, di solito, il denaro che se ne può ricavare.
Denaro che serve per comprare beni inutili, prodotti da altre persone che fanno altrettanti lavori inutili. Per rendere utili beni inutili, aumentare la salivazione dei consumatori, abbiamo inventato l’industria della pubblicità. Un inganno colossale, un’autoipnosi a fini di lucro.
C’è una perdita di senso, di scopo complessivo.

L’informazione e la pubblicità, una volta separate, si sono unite, compenetrate in una forma oscena che è ovunque, che giustifica tutto. La distruzione del pianeta, la cancellazione del tempo (nessuno ha più tempo..), la perdita di significato, la mancanza di valori al di fuori di quelli economici. Abbiamo allungato la vita per non poterla vivere, siamo troppo occupati a produrre. Avere, siamo drogati dall’avere, lavoriamo per avere. Abbiamo trasformato il mondo e noi stessi in un PIL, in prodotti a scadenza.
Abbiamo tutto, ma non abbiamo più nulla.

[Pawl Hawken]

La stupenda, concisa, riflessione di Hawken sottolinea alcuni aspetti di un “modus vivendi” che si è andato a strutturare fagocitandoci quasi inconsapevolmente. Abbiamo tutto. Ma tutto cosa? Il superfluo è diventato la nostra nuova necessità. Ci hanno ingannati, ci siamo ingannati. Cos’è tutto questo se non la ricerca della felicità? Non sapendo come raggiungerla cerchiamo lungo la strada dell’effimero, dell’avere, illudendoci che il nostro desiderio venga appagato. Ma è solo un gioco di scatole vuote e colorate.
Stiamo dormendo. Questa è la realtà. Anestetizzati, drogati e accondiscendenti. Siamo scesi a compromesso con la promessa del benessere, abbiamo barattato “il pensare” con il “Grande Fratello”, la ricerca e il dubbio per facili certezze sulle quali dormire sonni tranquilli.
Ma siamo prigionieri senza speranza? o possiamo liberarci? e quale è il costo di tale liberazione? possiamo, vogliamo pagarlo?

L’inizio di un cammino
06/01/2010

Essere consapevoli vuol dire sapere che con il nostro atteggiamento nei confronti di noi stessi, degli altri e di ciò che stiamo facendo, possiamo determinare la qualità della nostra vita e del mondo in cui viviamo.

La realtà che ci circonda non è qualcosa di “altro” rispetto a noi. E’ intimamamente legata al nostro essere. In realtà neanche si dovrebbe parlare di legame: semplicemente non c’è alcuna divisione.

Non è il destino a costruire la nostra vita, ma è il nostro atteggiamento, la nostra risposta, la nostra reazione ai casi della vita (belli o brutti che siano) che minuto per minuto forgiano ciò che siamo e la strada che intendiamo percorrere.

Chi diviene consapevole di questo sente il motto:
“Chi lascia la vecchia via per la nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova”
ma lo interpreta:
“Per raggiungere un luogo che non conosci, devi prendere un cammino che non conosci”.

La nostra vita può diventare la piena espressione del nostro essere, e la vita quotidiana può diventare l’occasione per rivelarsi e sperimentare le molteplici sfaccettature della nostra natura.
La qualità della nostra vita va misurata in base a quanto sappiamo assaporare pienamente tutto ciò che l’esistenza ci offre.

L’importante, allora, non è raggiungere una meta o l’altra, ma procedere con l’atteggiamento giusto, un atteggiamento di apertura e disponibilità, di attenzione interna e di attenzione esterna, attenzione a sé e agli altri, a ciò che vogliamo dalla vita e a ciò che la vita vuole da noi.
Ci scopriremo felici con molto meno di quanto normalmente si pensa necessario, e il traguardo che ci porremo come obiettivo non sarà quantitativo, ma qualitativo.