Un amore – Dino Buzzati
19/11/2010

« “Era una delle tante giornate grigie di Milano però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse.” »

Trovai questo libro in cantina, seppellito tra molti altri. Era l’edizione della Oscar Mondadori da 350 lire. Il titolo era semplice, diretto, senza pretese. In copertina il volto disegnato di una donna dai lineamenti fini e un po’ francesi  che mi ricordarono Audrey Hepburn. Avevo 16 o 17 anni, non ricordo. Ma rammento bene che lo tenni tra le mani, lo guardai, lo soppesai e decisi che sarebbe venuto con me a casa.

La storia racconta di un architetto di 49 anni Antonio Dorigo (fate attenzione al suo cognome perché dopo vi ritornerò), che per sua natura ha sempre trovato problematico il rapporto con l’altro sesso: la donna come creatura diversa, irraggiungibile, incomprensibile. Questa sua visione lo porta a soddisfare i suoi bisogno fisici presso una casa d’appuntamenti.

Li conosce la ballerina Adelaide, ragazzina capricciosa, evasiva e misteriosa della quale si innamora ossessivamente.
Dorigo cade senza possibilità di salvezza in un gorgo di tradimenti, gelosie, umiliazioni, sofferenze, arrabbiature, tormenti. Conosce le pene dell’amore, cerca di allontanarsene in un moto di autroconservazione, forse d’orgoglio. Ma inevitabilmente ne diventa schiavo.

L’amore per Adelaide non è ovviamente solo passionale. E’ un amore platonico perché non riesce ad essere vissuto pienamente. Lui ha il corpo di quella donna perché la paga, ma i suoi sentimenti, sono sfuggenti. Così come sfuggente è lei tra menzogne, spavalderia e strafottenza.
Dorigo riscopre l’amore come sentimento misterioso e insondabile, come binocolo per guardare la sua vita passata semplicemente mediocre e insignificante.

Con l’innamoramento egli è davvero costretto a rimettersi in gioco, a rivedere i suoi pregiudizi, la sua confortevole, ma mortifera routine, a criticare la sua solida rispettabilità borghese, a modificare la sua visione del mondo e della vita.

Fortemente autobiografico, questo romanzo volge apparentemente verso un lieto fine, con Adelaide che aspetta un bambino da lui e che dorme nel suo letto. Ma se le parole scritte sembrano dire una cosa, la percezione che se ne ha va nella direzione opposta.

A questo punto “Un Amore” si ricongiunge, ampliandolo, al concetto espresso nel Deserto dei Tartari dove Giovanni Drogo (ecco la similitudine fra i nomi) alla fine della vita comprende che non c’è nessuna azione di gloria se non quella di accettare la morte con dignità, non ci sono ricompense, l’uomo può solo morire senza conoscere il mistero che l’ha partorito.

Qui Buzzati arriva alla conclusione che neppure l’esperienza più vitale che può fare l’uomo, quella della passione che pure può stravolgere con potenza una monotona esistenza, neppure l’amore passione può far derogare dalla consapevolezza dell’ineluttabile destino che tutti attende. L’uomo non può sfuggire al proprio destino né attraverso azioni eroiche e la gloria né attraverso il più sanguigno e vitale dei sentimenti, l’amore.

Per l’uomo dunque non c’è scampo, tutt’al più esiste un’età dell’oblio, la giovinezza, quando il futuro è talmente lontano da non essere percepibile e quindi preoccupante.
Quello che ieri il giovane Buzzati aveva percepito scrivendo Il Deserto, oggi l’uomo l’ha sperimentato, l’ha dimostrato, l’ha vissuto, perché Drogo non aveva avuto il suo momento di eroismo, Dorigo invece l’ha avuto nella sua eroica passione. Buzzati quando scrive Il Deserto dei Tartari ha 33 anni ed è sconosciuto ai più, quando scrive Un Amore ha 57 anni, è già uno scrittore famoso ma questo non basta ad evitargli, una volta per tutte, la certezza dell’impotenza, della delusione di appartenere ad un “meccanismo” che ci ha condannati a non saper svelare il profondo interrogativo della vita; al dolore intimo, acuto, dei sentimenti, si aggiunge il dolore universale, del nostro essere.

Quello che nel Deserto era una teoria qui diventa realtà e non c’è più il tempo per altre esperienze che possano illudere di mutare il senso dell’esistenza. Allora Antonio Dorigo si arrende e consegna se stesso alla dignità dell’accettazione seguitando a vivere un amore che è diventato il riflesso di se stesso e riflette la profonda solitudine dell’Uomo, solo con le sue angosce.

Un Capolavoro.

L’inizio di un cammino
06/01/2010

Essere consapevoli vuol dire sapere che con il nostro atteggiamento nei confronti di noi stessi, degli altri e di ciò che stiamo facendo, possiamo determinare la qualità della nostra vita e del mondo in cui viviamo.

La realtà che ci circonda non è qualcosa di “altro” rispetto a noi. E’ intimamamente legata al nostro essere. In realtà neanche si dovrebbe parlare di legame: semplicemente non c’è alcuna divisione.

Non è il destino a costruire la nostra vita, ma è il nostro atteggiamento, la nostra risposta, la nostra reazione ai casi della vita (belli o brutti che siano) che minuto per minuto forgiano ciò che siamo e la strada che intendiamo percorrere.

Chi diviene consapevole di questo sente il motto:
“Chi lascia la vecchia via per la nuova, sa quel che lascia, non sa quel che trova”
ma lo interpreta:
“Per raggiungere un luogo che non conosci, devi prendere un cammino che non conosci”.

La nostra vita può diventare la piena espressione del nostro essere, e la vita quotidiana può diventare l’occasione per rivelarsi e sperimentare le molteplici sfaccettature della nostra natura.
La qualità della nostra vita va misurata in base a quanto sappiamo assaporare pienamente tutto ciò che l’esistenza ci offre.

L’importante, allora, non è raggiungere una meta o l’altra, ma procedere con l’atteggiamento giusto, un atteggiamento di apertura e disponibilità, di attenzione interna e di attenzione esterna, attenzione a sé e agli altri, a ciò che vogliamo dalla vita e a ciò che la vita vuole da noi.
Ci scopriremo felici con molto meno di quanto normalmente si pensa necessario, e il traguardo che ci porremo come obiettivo non sarà quantitativo, ma qualitativo.